“La conoscenza che viene acquisita con l’obbligo non fa presa nella mente. Quindi non usate l’obbligo, ma lasciate che la prima educazione sia una sorta di divertimento; questo vi metterà maggiormente in grado di trovare l’inclinazione naturale del bambino.” PLATONE
La povera scuola italiana è gravata da tante di quelle sciagure che gli addetti ai lavori non riescono più a starci dietro, figuriamoci i profani.
Qualcuno ci vede una cosciente strategia di affossamento; qualcuno meno catastrofista cerca di salvare il salvabile di un sistema che, pur facendo acqua da tutte le parti, rappresenta la nobile aspirazione di una nazione democratica di garantire a tutti l’istruzione, obbligatoria e gratuita.
Alla scala traballante che ascende alla realizzazione di questo meritorio obiettivo si è aggiunto in anni recenti (per i tempi della scuola, l’altroieri) un gradino importante, la legge 107 del 2017, la cui genesi origina in una maxi-sanatoria del precariato dei docenti imposta all’Italia dalla Corte di Giustizia Europea, ma che l’allora Presidente del Consiglio, animato forse da quello spirito di dissacrante ironia tipico della sua terra natale, pensò bene di infiocchetare coll’accattivamnte appellativo di “BUONA SCUOLA”, titolo che ha il felice merito di conferire un nonsochè di orwelliano a un provvedimento composto di un solo articolo, i cui n commi ambiscono a dare un nuovo ordine al sistema di istruzione, in un afflato efficientista di riforma generale, tesa a dare alla scuola finalmente quell’impronta di modernità di cui il Paese ha bisogno.
Risultato: i precari storici combattono ancora per una definitiva stabilizzazione; in compenso il sistema scuola si trova nel mezzo di un guado. La riva opposta appare lontana e confusa, le nebbie burocratiche la rendono inaccessibile all’occhio umano (fatta la legge, bisogna fare i decreti attuativi).
Ma ecco, appare una fumata bianca, laddove la speranza sembrava perduta. Ecco finalmente il segnale atteso da tanti tra addetti ai lavori, famiglie, associazioni. Il Ministero dell’Istruzione, d’accordo con quello della Salute, ha emanato, -udite, udite- i nuovi modelli di PEI “in prospettiva ICF”, con relative linee guida.
Gli interessati giubilano, si abbracciano tra di loro, si congratulano l’un l’atro con pacche sulle spalle e segni di vittoria. I volti stanchi e affaticati si distendono in sorrisi di sollievo…
Di che si tratta?
Tradotto in soldoni, si tratta dell’ennesima stazione della Via Crucis del cammino degli alunni con disabilità nel sistema scolastico italiano. Una strada irta di ostacoli, lastricata di buone intenzioni come la proverbiale via dell’inferno.
Da dove inizia questa strada? Chi sono queste persone? Come stanno nel sistema di istruzione nazionale?
Ci stanno come tutti, sarebbe la risposta ovvia nel nostro bel Paese democratico e moderno, con una Costituzione di cui possiamo andare fieri nel mondo intero… Non ci si dovrebbe neanche inoltrare troppo nella lettura, eccola lì, nero su bianco, bella chiara nell’articolo 3, la fonte dell’inclusione di ogni persona nel sistema scolastico… Una volta tanto, per parlare di inclusione, vogliamo provare a non andare a scomodare la legge 104 del 1992?
Proviamo a tornare alle basi, torniamo alla fonte, “la nostra bella Costituzione” nella quale abbiamo scritto, credendoci: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale senza distinzione di condizioni personali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (dal testo completo ho, come si può facilmente verificare, estratto le parole più pertinenti, tralasciandone altre non certo meno importanti giusto per chiarezza di esposizione)
È stato detto che il segno di una società è il modo in cui si fa carico dei suoi soggetti più deboli.
Includere vuol dire fare spazio a tutti, dare cittadinanza ai bisogni di ciascuno, per quanto particolari possano essere. Gli anni di pratica di integrazione scolastica nella scuola italiana hanno dimostrato che rendere un ambiente inclusivo non è un processo automatico, ma frutto di azioni intenzionali e costanti. Non basta mica aprire le porte e fare entrare tutti. Bisogna attivare conoscenze, risorse personali e ambientali, strategie, flessibilità di azione e capacità di riflettere. La strada è una, i percorsi sono mille e mille, e non sono già segnati, ma ancora da scoprire, perché ogni persona è un mondo nuovo. Un grande filosofo, provando a immaginare una società ideale, dove ogni essere umano potesse realizzarsi come persona completa e felice, disse: “Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Un ideale, certo… Ma non è forse proprio la scuola il regno dove provare a realizzare i sogni?
In molte scuole italiane si aggirano delle coppie simbiotiche immerse in bolle più o meno permeabili al resto del mondo, in base a fattori imperscrutabili*: sono gli alunni “seguiti dall’insegnante di sostegno”, secondo la dicitura in voga tra gli addetti ai lavori. Il patto di ferro che ne accomuna i destini si chiama “centoquattro” (la famosa legge 104), ed è cementato da una comoda consuetudine di delega più o meno ampia in base a feroci parametri burocratici: prima di tutto lo studente deve aver conseguito l’articolotre, cioè la certificazione di invalidità che gli conferisce appunto l’ambito titolo di alunno H (in gergo professionale si dice Acca o Alunno Certificato). Ma questo è solo il primo passo, perché nella scuola di oggi quello che fa la vera differenza è il Comma. Funziona così: commauno=invalido semplice=meno ore di insegnante di sostegno; commatre=invalido grave=più ore di insegnante di sostegno** (il commauno insomma vale di meno).
Con un po’ di fortuna, se sei un commatre e vivi in un comune non in bancarotta, la coppia si trasforma in triangolo con la comparsa del mitico AEC, il vero superdelegato all’integrazione scolastica.
Una volta ottenute queste risorse, la persona del bambino è definitivamente schiacciata sui suoi bisogni speciali e sulle sue esigenze di assistenza, diventando l’appendice dell’insegnante di sostegno o dell’educatore di turno. Dove va uno, segue l’altro. Tollerati nel gruppo-classe come il brutto soprammobile ereditato dalla nonna del quale non riusciamo a disfarci.
Con questi presupposti non dovrebbe scandalizzarci più di tanto uno scenario di riapertura della scuola dove le disposizioni impartite da Dirigenti Coraggiosi supportati da Responsabili della Sicurezza Competenti potrebbero essere: “Fuori il corpo estraneo, ci fa sballare i parametri dello spazio vitale”.
“Nessuno resterà indietro” si potrà leggere, in questi casi, come un’esortazione al Nostro Valoroso docente di sostegno, armato di visiera e guanti, a “SEGUIRE” il “SUO” alunno nel corridoio, in nome della sicurezza.
-Nel Piano Scuola 2020-21 (vedi in particolare pagina 7) possiamo ben riconoscere questa concezione separatista della figura dell’insegnante di sostegno:
**Per comodità del lettore, riporto qui i due commi citati
Art. 3
Soggetti aventi diritto
c.1. E’ persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica,psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che e’ causa di difficolta’ di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
c.3. Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto
l’autonomia personale, correlata all’eta’, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravita’. Le situazioni riconosciute di gravita’ determinano priorita’ nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici.
LEGGE 5 febbraio 1992, n.104 Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.
SCUSA MA TI CHIAMO GIANNI Alla filastrocca preconfezionata dalla rima in –are del sitoditurno.maestra preferisco Gianni sempre e comunque. Gianni è Fresco (se sai capare bene come tra le ceste della frutta dall’ortolano), Gianni è Semplice, Gianni è Uno Scrittore Perbene. Uno scrittore che con i bambini ci si diverte (anche se questo, per taluni*, è un difetto). E poi non smette ancora, veramente, di stupirti. Biografie storiche, continue ristampe ma soprattutto Prime pubblicazioni negli Stati Uniti dove è stato appena scoperto, visto che essendo stato per una vita comunista era tanto noto nell’area Urss ** quanto ignorato oltreoceano per la nota fobia di cui soffrono l’americani. Ovviamente subito accostato dal New York Times al dr. Seuss, mostro sacro della letteratura per l’infanzia nordamericana, padre del Grinch, degli Snicci e del Gatto col Cappello tra tanti altri, giustamente saccheggiato dall’industria dell’immagine animata. Lunga vita a Gianni, Maestro dell’arte di vivere, di pensare, di comunicare. Grazie ancora, Gianni Rodari.
*P. Mastrocola Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare Guanda 2011
**spero di non dover spiegare anche questa
V. Roghi Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari Laterza 2020
BAMBINI NO Li chiamavo centrifughi perché adottavo sempre la prospettiva centrata sul Gruppo. Quelli che evadono, invece, sono Quei Bambini Che Non Amano Sentirsi Dire Quello che Devono Fare, preferiscono esplorare e scoprirlo da sé. Ci sono Bambini (ma anche adulti, certamente) che Amano (o almeno Sopportano) Sentirsi Dire Quello che Devono Fare e Bambini che No. Se dovessimo coniare delle sigle classificatorie potremmo etichettarli BS e BN. E Montessori? Lei dice: li devi guidare a recepire gli stimoli, li devi strutturare e lasciare che crescano da soli su quei binari solidi che gli dai. La Casa dei Bambini da quello che ho capito io è un ambiente di apprendimento che è come un traliccio, la vite ci si attacca per istinto e si inalbera tutta contenta (almeno credo). Questi bambini qua, i BN, nella Scuola di Tutti e di Nessuno tendono ad affermare la loro personalità rompendo le scatole il più possibile. A volte lo fanno scientemente per principio, altre invece sono candidi come Jessica Rabbit (“È che mi disegnano così…”). Quando trovano il loro Giardiniere Saggio e Paziente, attecchiscono spontaneamente con maggiore convinzione. In genere uno solo non basta, ce ne vuole una squadra.
“Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” (proverbio africano)
Chi ha rapito Alfio Zoi?DIARIO DI BORDO DI UN’AUTODIDATTAChi si ricorda Alfio Zoi?Celebratissimo Esperto che ha infuso dosi massicce di grammatica strutturalista nelle plasmabili menti del pubblico docente di scuola elementare negli anni ottanta grazie alla meritoria Editrice La Scuola, Zoi è il divulgatore della scrittura come tecnica e non come arte, quello che ci ha insegnato a presentare a bambini di 6 anni un testo come un abito da cucire. Quante di noi lo hanno somministrato con scrupolo a intere generazioni? Quante di noi ancora lo fanno?* IL Metodo Zoi ha dominato la didattica dell’italiano fino a che nuovi Esperti sono arrivati pronti a farci digerire con la pillola della personalizzazione l’amara verità che IL metodo assoluto non esiste. Io la notizia l’ho retta abbastanza bene, visto che per istinto di autoconservazione mi tengo a distanza da riviste specializzate, corsi di didattica disciplinare e guide enciclopediche come la volpe dall’uva.Ma niente scorre per anni senza lasciare traccia. Dov’è oggi quel metodo? Che semi ha generato? Nei suoi aspetti principali è stato digerito e metabolizzato dalla letteratura didattica delle scuole italiane. Da quello che ho capito io di Zoi, rubando negli anni a quelle più brave di me, ne ho ricavato la mia “grammatica colorata”. È divertente e funziona in tutte le lingue.E comunque, adesso c’è Bortolato.Chi non conosce Bortolato?* per un rapido calcolo approssimativo Link articolo età media
La maestrina dalla penna rossa
Citazioni incomprese dal libro Cuore
Siamo ad un corso di aggiornamento/formazione di Istituto su “la Gestione della Classe”. La formatrice, una “giovane” sulla trentina entusiasta e preparata, ci propone di indicare un nostro modello ideale di insegnante: rimango sorpresa, come la stragrande maggioranza dei miei colleghi, del fatto che la mia risposta, “la maestrina dalla penna rossa”, necessiti di una spiegazione circostanziata. “È un personaggio del libro Cuore di De Amicis”, dobbiamo spiegarle. Lei dichiara candidamente di non conoscere il testo. Questo mi fa riflettere… La mia prima reazione è: “quindi si può venire a tenere corsi per insegnanti ignorando questi riferimenti fondamentali?”. La cosa mi incuriosisce: siamo noi classe docente attuale che abbiamo un’età media troppo alta, portatori di un bagaglio culturale ormai obsoleto, la maestrina dalla penna rossa, Garrone, Franti, per non parlare del muratorino, di Ferruccio… Un panorama che ci è così familiare, nei nuovi orizzonti di riferimento della scuola non trova più posto? O è la formazione culturale di questa psicologa relativamente fresca di studi ad essere limitata? Non fosse altro che per comprendere i riferimenti di chi ha davanti, non dovrebbe conoscere il libro Cuore? Una mia collega quest’anno lo ha proposto come attività: si ascolta la maestra che legge, poi si riflette sui temi proposti. Il quesito è: il libro Cuore ha ancora qualcosa da dirci?
Quanti sono i docenti italiani? Secondo gli ultimi dati disponibili, all’anno scolastico 2017-2018, sono oltre 730mila i professori di titolari. Oltre 30mila docenti ha più di 54 anni.
Ecco la suddivisione per classe di età e ordine di scuola
Fino a 34 anni
Infanzia 3,6% (3.120)
Primaria 4,4% (10.746)
Scuola media 2,8% (4.461)
Scuola superiore 1,8% (4.520)
35-44 anni
Infanzia 21% (18.422)
Primaria 22,2% (54.732)
Scuola media 21,8% (34.216)
Scuola superiore 16,1% (39.467)
45-54 anni
Infanzia 37,4% (32.857)
Primaria 38,2% (94.139)
Scuola media 34,6% (54.345)
Scuola superiore 34,6% (86.136)
Oltre 54 anni
Infanzia 38,0% (33,349)
Primaria 35,2% (86.820)
Scuola media 40.8% (64.231)
Scuola superiore 47.5% (116.682)
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